Il regno delle grandi montagne, la meta e il paradiso di ogni appassionato di montagna. Può essere sintetizzato in queste parole l’Himalaya e tra queste montagne il luogo più famoso è sicuramente la valle del Khumbu che scende dall’Everest e sua diretta e prima porta di accesso.
Il mio viaggio è iniziato una sera di luglio a Perino dopo un’arrampicata in falesia, giunti al bar per stare in compagnia, l’amico Roberto mi accenna l’intenzione di organizzare un trekking in Nepal per fine ottobre con l’intenzione di raggiungere il campo base dell’Everest ed un eventuale estensione, un po’ più alpinistica, alla cima dell’Island Peak. La proposta mi coinvolge subito ed insieme a me presto coinvolge anche Marco e così velocemente mi trovo prossimo alla partenza un po’ disorientato data la mia inesperienza ma ben seguito e indirizzato dai miei due compagni più esperti di me. Al gruppo si aggiungono altre sette persone che incontreremo di persona solo in aeroporto ma che nelle tre settimane successive avremo modo di conoscere per bene.
L’arrivo a Katmandu ci offre solo un piccolo accenno della città attraverso i finestrini del pulmino che ci porta in hotel e dopo le formalità e l’incontro con il capo dell’agenzia della nostra guida e dei portatori ci resta solo il tempo di cambiare i soldi e cenare nel primo ristorante che troviamo. Il mattino seguente ancora al buio e con la città ancora spenta torniamo di nuovo all’aeroporto per prendere il piccolo bimotore che ci porta a Lukla. Finalmente le montagne ci sovrastano le teste, l’aria fresca di montagna ci rigenera dal viaggio e possiamo partire nella nostra avventura in questo mondo lontano da strade in cui gli spostamenti avvengono solo a piedi o per mezzo dei famosi yak. Le tappe del trekking studiate sui report di chi era stato prima di noi sono corte con l’intenzione di favorire l’acclimatamento e la comodità di godersi la magnifica valle del Khumbu con le montagne che passo dopo passo si alzavano velocemente intorno a noi ed ammirare i continui monumenti buddisti che costellano i sentieri.
Già dal secondo giorno di cammino iniziamo ad essere circondati da montagne superiori ai 6000 metri, dalla stupenda e slanciata forma dall’ Ama Dablan ed attraverso un piccolo spiraglio tra alcune piante poco prima dell’arrivo a Namche Bazar, possiamo iniziare ad ammirare il maestoso massiccio formato da Everest, Lhotse e Nuptse.
Col passare dei giorni la quota aumenta e di conseguenza l’ossigeno diminuisce ma non rinunciamo a qualche extra nel trekking come la visita alll’ospedale e alla scuola voluti da Hillary a Khunde e Khumjung o il monastero di Pangboche per poter vedere luoghi un po’ fuori dalla via principale e conoscere un po’ di cultura e storia locale.
Scortati delle nostre preparate e premurose guide raggiungiamo presto il campo base dell’Everest e il Kala Patar il punto di vista migliore per ammirare il tetto del mondo dalla sua spettacolare seraccata, al Colle Sud, fino alla sua cima e la sensazione di sentirsi onorati solo per essere ai piedi di questo gigante è paragonabile solo all’immensa soddisfazione di avere raggiunto un luogo ambito da alpinisti e viaggiatori di tutto ili mondo.
Dopo aver raggiunto la prima meta puntiamo decisi verso l’Island Peak e sempre aiutati dal meteo perfetto ci accampiamo dopo pochi giorni al campo base potendo vivere così l’emozione della vita in tenda ad alta quota. Il nostro assalto alla vetta parte all’una di notte e superato il duro avvicinamento al ghiacciaio ci troviamo, in poche ore, alla base della parete finale attrezzata a corde fisse e passo a passo raggiungiamo faticosamente i 6189 metri della cima. Da qui il panorama è indescrivibile circondati dal Lhotse a due passi, dal Nuptse, dall’Ama Dablan e da decine di altre vette. Purtroppo la permanenza in vetta non può essere molto lunga, anche per poter permettere agli altri alpinisti in arrivo di godersi la stretta cima, quindi velocemente riscendiamo grazie a estrose corde doppie preparate al momento dalle guide Sherpa che dimostrano delle capacità degne dei più esperti alpinisti.
Il rientro è veloce e visto la fortuna avuta durante tutto il trekking con il meteo, rientriamo a Katmandu con due giorni di anticipo che sfruttiamo a visitare la città e i dintorni e fare un po’ di shopping sempre circondati dal caos e dallo smog del frastornante traffico di auto.
Una magnifica esperienza. Questa è la conclusione sul mio viaggio che consiglio a chiunque voglia vivere un po’ di giorni tra le montagne più alte del mondo, l’unico aspetto che ha tolto un po’ di magia è l’affollamento di questo trekking non tanto per il traffico di camminatori lungo le tappe ma per i cambiamenti che hanno portato all’interno della valle togliendoti la possibilità di vivere e conoscere gli usi e costumi originali del posto. Di certo non avrei portato a termine con successo il mio viaggio senza l’aiuto di Roberto, Marco, degli altri compagni di viaggio e delle nostre guide, quindi sicuramente un grazie a loro.
Emanuele Casazza