Il nostro viaggio verso Cala Gonone comincia giovedì 10 giugno, quando io, Luciano e Simonetta ci troviamo a Piacenza con destinazione il porto di Livorno, dove ci aspetta il lungo e tormentato attraversamento del mare che ci porterà ad Olbia.
L’idea è quella di passare 5 giorni tra roccia (molta) e spiaggia (poca), in particolare la mia idea è questa, poiché non amo molto il sole e la vita di mare.
Venerdì 11, dopo una notte travagliata a causa di compagni di viaggio americani dediti all’alcolismo più ignorante, arriviamo ad Olbia e ci dirigiamo immediatamente verso Cala Gonone, dove abbiamo affittato un piano di un villino sulle prime salite del paese, che domina il golfo e le spiagge, con vista anche sulla bella ma assolatissima falesia della Poltrona, in estate non frequentabile.
Appoggiati i bagagli decidiamo di toccare immediatamente la roccia
locale, e vista la giornata di sole siamo obbligati a dirigerci verso il canyon di Cala Fuili.
La passeggiata che ci porta sotto i settori è molto bella e mi ricorda i sentieri delle Calanques francesi, a destra e sinistra roccia che varia molto di consistenza e colore: ci fermiamo in una sezione semplice dove sono solamente indicati alcuni tiri e nemmeno tutti i gradi di questi.
La chiodatura non è propriamente generosa, i passi sono spesso obbligati e come primo impatto speravo onestamente in qualcosa di meglio: la roccia non è così ruvida come credevo ma mi sento anche stanco per il viaggio ed attribuisco la ritirata dalla catena di un lunghissimo 6b anche a quello.
Luciano per fortuna stringe le chiappe, si lancia verso un albero sopra la catena e porta a casa denti e rinvio! Fatico a capire chi chioda la catena lontano dall’ultimo ancoraggio, la mente si sta rilassando proprio perché la via è quasi conclusa e non credo sia proprio lì il passaggio chiave per risolvere un tiro.
Fiumi di birra ci aiutano, la sera, a sciogliere mente e muscoli, così il giorno dopo decidiamo di immergerci nella bellezza del settore “Buchi Arta”, splendido contesto di lecci e olivastri, appena sopra l’abitato di Cala Gonone.
La strada per arrivarci in realtà è lunga e tortuosa, ma ne vale davvero la pena: avvicinamento nullo e vie attorno ai 30-35 metri, su roccia quasi sempre ottima a tacche o tasche spesso buone.
L’impressione generale è molto positiva, la brezza è piacevole al mattino e l’ombra che ci avvolge permette di scalare fino le 13 (siamo pur sempre in giugno e in Sardegna!).
Anche se la chiodatura non è generosissima, le linee verticali sulla parete in leggero strapiombo non generano panico nel volo, così mi diverto anche quando rinvio ben sopra la mia testa, con il chiodo almeno un metro sotto i miei piedi.
Domenica decidiamo di scalare solo io e Luciano, e facendoci (ben?!) suggerire da Eugenio che ha da poco scritto e disegnato con Maurizio Oviglia la guida proprio delle falesie attorno a Cala Gonone, ci dirigiamo a Serra Oseli, piccolo gioiello nel mezzo del nulla, attorno a quota mille, da scovare attraversando pascoli, rigagnoli quasi asciutti, maiali neri grufolanti nei prati e qualche sguardo interrogativo dei pastori locali.
Qui il discorso cambia parecchio: ci sono tre paretine ben distinte l’una dall’altra, dove l’ arrampicata si svolge prevalentemente su roccia veramente ruvida e tagliente, dove occorre saper caricare bene i piedi e fidarsi…
Aldilà del perché siamo lì, il luogo è stupendo, non passa un’auto, si è immersi nella natura e si potrebbe essere veramente ovunque, non per forza in terra Sarda.
La sera, carichi per la piacevole scoperta, e per aver anche acquistato numerosi chili di pecorino in una piccola azienda locale, ceniamo al “Nuraghe Mannu”, agriturismo che serve a tariffa fissa, Cannonau da 17°! L’impressione iniziale è che i gradi siano inferiori, ma a fine serata sembrano magicamente raddoppiati.
Per l’ultimo giorno, complice la sera precedente, ci concediamo di nuovo un passaggio mattutino a Buchi Arta: la confidenza con la roccia è aumentata, e diventa quasi piacevole anche lanciarsi in vie dove le chiodature sono davvero tirchie.
Mi aspettavo in generale una Sardegna molto arida e spoglia di vegetazione, mentre ho trovato molto più verde e fresco che in Pianura Padana!
Consiglio vivamente di provare il mirto artigianale, completamente diverso da quello commerciale che possiamo trovare al Nord e poi non rinunciate alla birra Ichnusa, ormai proposta cruda, pils, non filtrata, etc etc….ma sempre ottima in ogni caso.
Nicolò