I ventenni che salvano il rifugio
(«Era chiuso, perché non provarci?»)
di Carlotta Lombardo
(pubblicato su corriere.it il 26 luglio 2021)
Due ragazzi alla prima esperienza e tre «decani», uniti dall’amore per la montagna e dalla voglia di rilanciare il territorio. Nonostante lo studio da portare avanti e la fatica che la gestione di un rifugio comporta: giù dal letto all’alba e (giù) in paese a far la spesa. Poi (su) in baita a pulire, rassettare, cucinare, intrattenere e consigliare. Perché, si sa, un buon oste è la guida più preziosa che si possa avere lassù, tra i monti, dove ad affrontare percorsi e vie, è meglio lasciar fare agli esperti.
In Alta Valnure
Ha la forza della passione la storia dei cinque amici piacentini che il 18 luglio hanno riaperto la baita «Monte Ragola» a Prato Grande, in Alta Valnure, chiusa da un anno e mezzo per la pandemia. Tutti giovani e con tanta voglia di fare. «Cerchiamo di rilanciare il territorio ma il nostro obiettivo è lo studio. Però, ai miei, l’ho detto chiaro e tondo: se non do due esami quest’estate non offendetevi!», puntualizza Alessandro Groppi, il più anziano del gruppo (24 anni) che a Milano studia Scienze politiche e inizia la magistrale in Global Politics and Society. L’hanno scorso, con Giovanni e Tommaso, ha gestito pure il rifugio di Monte Chiappo fra Pian del Poggio e Pey, poi rilevato dai nuovi proprietari. Un’esperienza nuova di zecca che però si è rivelata piena di successi.L’idea è dell’amico ventenne Giovanni Tavelli, anche lui iscritto a Milano ma a Scienze umane per l’ambiente: «Il rifugio che frequento da sempre era chiuso. Ho pensato, perché non provarci? Mal che vada, ci facciamo tre mesi di vacanza tra i monti. Solo con la passione non ti pesa fare fatica!». «E poi — interviene Tommaso Groppi, 20 anni, studente di Scienze agrarie e sistemi montani e forestali — queste sono esperienze che ti arricchiscono e ti fanno arrivare meglio alla meta».
La gestione
Gestire un rifugio, però, non è proprio una vacanza. Giovanni, che in famiglia ha sempre cucinato per mamma e papà, a Prato Grande ha imparato a fare ragù, salame cotto, polenta con spezzatino e piasarei e fasò, gli gnocchetti piacentini conditi con sugo di fagioli. «All’inizio sbagliavo le quantità e arrivavo tardi con i tempi — ammette — per fortuna con l’aiuto di due amici cuochi ho aggiustato il tiro. Sabato ho persino cucinato per un matrimonio. L’idea, infatti, è di organizzare anche eventi in baita». Qualche dritta? «Mai pensare di preparare tutto la mattina per il pranzo: è troppo tardi. Le cotture lunghe si fanno la sera prima. E poi, riguardo la spesa, meglio abbondare che avere poco. Due regole che mi hanno salvato la vita».
Stagione invernale
Le «new entry» dello staff sono Matteo Chiesa, 20 anni, e Monica Burguzzi, 19, alla loro prima esperienza professionale in rifugio. «Mi sono diplomato a giugno in informatica e ho lavorato per due anni per Glovo — racconta Matteo —. Andavo in giro con la bici a portare a casa della gente gli ordini dei ristoranti». Ma come è possibile improvvisarsi nella gestione di una struttura? «Diciamo che la passione può fare tutto, perché è l’ingrediente che ti fa iniziare e poi andare avanti nei momenti di difficoltà. La cosa più bella è il riconoscimento da parte delle persone. Amano questo posto, e noi siamo qui per loro». Monica, al rifugio, si occupa della sala. A settembre proverà a entrare a Fisioterapia a Bologna. «Questa di Prato Grande è la mia “prova del nove” — spiega, orgogliosa di essere l’unica ragazza del gruppo — Voglio capire se è una strada che in futuro posso percorrere. Adoro lavorare tra amici perché riusciamo a non farci sopraffare dal lavoro: il nostro fine non è il lucro, ma vivere una bella esperienza». Al momento il contratto di gestione a Prato Grande si ferma a ottobre, ma l’obiettivo del quintetto è prolungarlo anche d’inverno. «L’idea della Pro Loco di Ferriere è di dare un impulso forte al posto per poi coinvolgere le persone del luogo. Noi, però, ci saremo. Potrà far ridere — chiosa Alessandro — ma sul campo abbiamo esperienza e possiamo dare ancora una mano».