Val di Rava, Settembre 2021
12 mesi fa tre ragazzi carichi di protezioni veloci e cattive intenzioni partivano da Piacenza verso questo sottogruppo isolato, all’ombra della catena del Lagorai. Non sapevano bene cosa aspettarsi, ma trovarono quello che stavano cercando. La valle è costellata di piccole e grandi strutture di ottimo granito: su molte di esse sono state aperte vie, tante ancora aspettano di essere scalate. Alcune, come la falesia trad della Fata del Lago, sono dei veri e propri gioielli incastonati tra i pascoli.
La prima volta in valle la abbiamo vissuta quasi in modo turistico: apri la guida, trovi la via, la scali, sei contento. Questo finché non ci siamo imbattuti in Pic da Mur.
Pic da Mur è la multipitch più lunga in Val di Rava fino ad ora. Aperta dal basso in autoassicura da Paolo Michielini, si fa notare sulla guida grazie appunto alla lunghezza rispetto alle altre vie e al racconto dell’apritore che occupa un paio di pagine. Nonostante l’importanza e il posto di rilievo che occupa sulla guida, le informazioni date non sono poi tante. Oltre ad una foto con lo schizzo del tracciato, vengono riportati soltanto la lunghezza e il grado alpinistico. Non sono nemmeno espresse le difficoltà dei singoli tiri.
La guida riporta: 280m, 9 tiri, 5c – A2 e AE/S1/II
Soprattutto l’ultima indicazione ci aveva lasciato perplessi. Eravamo comunque partiti fiduciosi, sperando di trovare una via di 5c, con pochi passi in artificiale. Ovviamente ci sbagliavamo, e abbiamo trovato invece una via per noi difficile ma ben spittata. Se avessimo saputo leggere le indicazioni sul grado, probabilmente non la avremmo nemmeno considerata. Fortunatamente la nostra ignoranza ci ha portato dove non immaginavamo.
Insomma, l’anno scorso siamo arrivati fino al quarto tiro, con umore altalenante tra l’estasi per la roccia fantastica e la confusione data dallo scalare una via che era diversa da quello che ci aspettavamo (e le relative imprecazioni!).
Alla quarta sosta, coi bicipiti ghisati e il cervello in panne, abbiamo deciso di calarci.
Se volete saperne di più, il racconto dettagliato del primo approccio a Pic da Mur lo trovate qui: https://www.lacavallerizzaclimbing.it/2021/10/12/cavallerizzi-in-trasferta-lagorai-rockin
Val di Rava, Settembre 2022 – Un anno dopo
Quest’anno io e Franci ritorniamo all’attacco della via. Ad accompagnarci ci sono gli stessi dubbi, qualche certezza in più e una maggiore determinazione. Il nostro obiettivo è salire la via in tutta la sua lunghezza, cercando di liberare tutti i tiri. Fino alla quarta sosta sappiamo che saremo messi alla prova, ma siamo sicuri di noi. Oltre invece c’è l’ignoto: non ci resta che andare a vedere di persona. La grinta è tanta, le dita tengono e i piedi scalpitano: si parte!
Ah, è anche il compleanno di Franci, il sole splende e gli uccellini cantano: in pratica si sono allineati i pianeti.
Franci mi fa un bel regalo, anche se è lui a compiere gli anni, e decide di lasciare andare me da primo, visto che sono il più gasato.
Il primo tiro lo passiamo velocemente: placca tecnica seguita da un bel dulferone sempre su placca, stavolta appoggiata. 6b
Il secondo è quello più rognoso, l’anno scorso ci aveva mandato KO.
Parte aggirando uno spigolino strapiombante con movimenti delicati su prese poco convenzionali, prosegue dopo un buon riposo con un traverso su fessure orizzontali dove l’incastro non nuoce e si scontra con una liscia placca verticale. Molto “tennica”, direbbe il buon franci. Tanto tennica che la cosa più difficile non è tanto tirare i pochi sgnoccoli che la parete offre, quanto fidarsi del piede in appoggio ogni volta che si muove l’altro per alzarsi. In ogni caso il grip è ottimo e gli dei favorevoli quindi arriviamo puliti in sosta anche qui. Ci sentiamo di proporre il grado di 7a, visto che il tiro di 6c che abbiamo affrontato il giorno precedente su un’altra via non ci ha lontanamente ingaggiato quanto questo.
A questo punto le aspettative sono altissime e sentendoci forti ci lanciamo sul terzo tiro. Sempre placca liscia fino ad un bel camino da cui si sbuca alla terza sosta. 6b+
Il quarto tiro è una lunga e stupenda dulfer (anche se a tratti un po’ umida e terrosa), seguita da uno strapiombino molto atletico che porta in sosta. Sempre 6b+. Mentre spingo e tiro come un mulo sulla dulfer vengo punto da un’ape sulla caviglia. Non dico niente a Franci, che è allergico, per evitare che si preoccupi troppo. Sono bravo? Sono cattivo? Boh, nel dubbio sono ad S4.
Franci mi raggiunge ci guardiamo negli occhi. Da qui finisce lo sport e ricomincia l’avventura, non sappiamo cosa ci aspetti oltre. In ogni caso c’è poco da fantasticare, basta partire e andare a curiosare un po’. Mentre traverso verso destra la faccia sorniona di Franci si allontana sempre di più finché scompare dietro una curva della parete. Penso che sorrida così per la fiducia che gli ispirano le soste nuove di zecca incontrate finora: da buon ingegnere meccanico apprezza il luccichio di un pezzo d’acciaio trattato a dovere…
Il quinto tiro si rivela abbastanza facile (intorno al 6a) e ci porta zigzagando fino alla sosta su una comoda cengia. Nonostante la stanchezza che inizia a farsi sentire nei polpastrelli e nelle dita dei piedi, la tensione è calata. Vuoi vedere che davvero il peggio è passato e di qui in poi le difficoltà si abbassano? Sarebbe un sogno.
Dal tetto che ci sovrasta una goccia d’acqua che picchietta costantemente sul mio casco mi riporta alla realtà. Alcuni tratti della via infatti sono ancora umidi, colpa della neve caduta qualche giorno prima e che ora si è già quasi sciolta del tutto. Per evitare di bagnarmi non perdo tempo e parto subito per il sesto tiro. Dalla sosta a cui siamo si riesce a vederlo tutto: devo rimontare su un’altra cengia erbosa a destra della nostra, superare una placchetta di circa 3/4 metri, passare tra le radici contorte di un larice, verticalizzare su una placca appoggiata e poi per un tratto erboso fino a raggiungere la parete nel punto in cui si impenna di nuovo, dove immaginiamo si trovi anche la sosta. A vederlo così, si direbbe un tiro di collegamento, facile e poco continuo. E in effetti lo sarebbe, se solo sulla prima placca non si rivelasse un vero e proprio boulder da capire e impostare bene prima di provare.
Al primo tentativo riesco a mettere il primo rinvio, ma poi disarrampico fino alla cengia perché non riesco a proseguire. Dopo qualche prova riesco ad alzarmi meglio e metto anche il secondo rinvio. Dopo, la placca cambia pendenza e dovrebbe essere più facile. Comunque sono stanco e disarrampico di nuovo fino alla cengia. Riparto, stavolta deciso a passare, ma il blocco si rivela troppo duro e salto giù. Volare è sicuro: Franci mi vede e mi assicura bene e l’atterraggio è sempre sulla morbida cengia. Tuttavia avere il suolo 200 metri sotto i piedi fa una certa impressione.
A un certo punto riesco a capire come passare, stringo i denti e arrivo alla fine del boulder. Ora non mi resta che ribaltare sulla placca che diventa più appoggiata. Lancio una mano, che incontra solo roccia liscia coperta dai licheni. Alzo anche l’altra, ma la situazione è uguale. Mi arrendo. Metto il rinvio successivo e mi tiro su mungendolo. Peccato! Manchiamo la libera del tiro per pochi metri di placca liscia e sporca. Sono un po’ sconfortato ma allo stesso tempo sento che abbiamo già fatto tanto, mancano ancora 3 tiri e siamo stanchi. Ci sembra fuori luogo accanirci nella libera quando comunque per riuscire a passare dovremmo prima ripulire un tratto di placca dai licheni e non abbiamo i mezzi per farlo. Ci mettiamo il cuore in pace e proseguiamo fino in sosta. Gli ultimi tiri si rivelano alla nostra portata (6a+, 6a) e soprattutto sono bellissimi. Nella parte alta della torre che stiamo scalando la roccia diventa molto lavorata, e dà vita a formazioni di ogni tipo: diedri, fessure, rigole, sgnoccoli, pagnottelle, cornetti e chi più ne ha più ne metta. Ci abbuffiamo di queste prelibatezze di granito come se fossero merendine e in un batter d’occhio ci troviamo all’ultima sosta. Oltre la parete perde di continuità e procede per balze fino alla cima.
Con un ultimo tiro di III arriviamo sulla cima vera e propria. Un abbraccio, una barretta e iniziamo la discesa sul sentiero.
Intorno a noi in ogni direzione strutture di ottimo granito da esplorare.
Per oggi però siamo a posto, lo stomaco ci fa capire che preferirebbe un piatto di pasta ad un’altra fessura. Non ci sentiamo di contraddirlo.
P.S.: Oltre alla prima ripetizione di Pic da Mur, di cui abbiamo liberato tutti i tiri tranne il sesto, abbiamo scalato Patagonia Express, bella via di tre tiri alla Torre dei Cani Pazzi, e salito un paio di tiri alla falesia trad della Fata del Lago, sempre con roccia ottima e ambiente stupendo e selvaggio. Speriamo di invogliare i lettori a visitare la Val di Rava e a provarne la roccia. Non è il posto più comodo da raggiungere e l’avvicinamento non è breve, ma sicuramente ne vale la pena. Pic da Mur aspetta ancora la prima libera integrale!
Matteo Barbieri e Francesco Marchini
P.P.S.: Scalare non è l’unica cosa che conta: ci sono anche i funghi e la buona cucina. Dopotutto siamo sempre in Italia : )